LA STAGNOLA
Nell’immediato dopoguerra, dal 48 in poi, Mussomeli era un paese rurale. L’agricoltura era l’unica risorsa. I cittadini erano divisi in tante caste, professioni e mestieri, rappresentati da vari “circoli sociali”. Dopo 60 anni qualche strascico rimane ancora. I quartieri non sempre corrispondevano con le parrocchie, che prima di aggiungersi quella del Carmine erano tre: la Madrice, San Giovanni Battista, e Sant’Enrico. In quest’ultima vi abitavano la maggior parte dei contadini (li viddana). Attorno alla chiesa di Santa Maria i pastori. A San Giovanni erano mischiati, ma la maggior parte erano mestieranti e bottegai: putiari. Il quartiere della chiesa Madre era abitato dalle maestranze: calzolai, (scarpara), muratori, sarti, barbieri ecc. con qualche professionista, laureati e diplomati, impiegati e possidenti… e la maggior parte delle persone più importanti di allora. Quanto sopra per spiegare e capire meglio quanto stiamo per raccontare, essendo un fatto accaduto… con i nomi dei protagonisti diversi. Come spesso accade il contrasto tra dirigenti, “intellettuali” (alcuni famosi ricchi e potenti) e gli altri cittadini era abissale. Come dimostrano i personaggi in Bibliografia Mussomelese. In quel tempo amoreggiare con una ragazza liberamente era impossibile: li fimmini si taliavanu cu lu binoculu. L’unico sfogo ai maschi potevano offrirlo quelle donne che, bontà loro, facevano “favori gratis dopo aver pagato”. Un lunedì, i calzolai quel giorno erano di riposo, mastro Ciccio era andato di buonora nella sua campagna, in contrada Castello. Lui e il suo asino erano come fratelli, dove andava il padrone andava anche l’asino…poco ci mancava che questo lo aiutasse ad aggiustare le scarpe. Al ritorno verso casa, si fermarono all’abbeveratoio del Castello e bevvero tutti e due. Naturalmente mastro Ciccio dal rubinetto e l’asino Ciccuzzu (Franceschino) dalla vasca circolare. Appena mastro Ciccio ebbe finito di bere, si trovò davanti, come in un sogno, una bellissima donna prosperosa, armoniosa, vestita bene, tanto da sembrare Venere in persona. Sophia Loren al confronto sarebbe stata ridicola. “Posso bere anch’io? – disse la femmina. “Certo che può…- si scostò per farle posto come se fosse stata una regina. Appena finì di bere lei lo ringraziò e fece per andarsene e lui le disse: “Unni va?…o scusi dove va?” – A Mussomeli? –“ Sì a Mussomeli! – “e ci vuole andare a piedi? sono circa due chilometri…salga sull’asino!”. La fece salire su un muretto e l’aiutò a sedersi sull’asino, che considerava suo compagno e fratello. Appena il ciuco si sentì la bella donna sulla schiena s’incamminò tutto contento. Così poterono avviarsi verso il paese. Ogni persona che li incontrava guardava e sorrideva. Mastro Ciccio non si rendeva conto perchè i passanti si comportavano in quel modo. Un passante con la bicicletta appena arrivato andò subito ad avvisare la moglie della “bella notizia”: “Signora Maruzza…mastro Ciccio viene verso il paese con la Stagnola sopra l’asino, che figura…” La poveraccia appresa la bella notizia svenne e rimase a lungo incosciente. I curiosi non vollero perdere l’occasione e a centinaia si recarono all’ingresso del paese, al bivio tra Villalba e Caltanissetta (come si fa quando un prete mussomelese arriva per officiarvi la prima Messa). Appena li videro scendere dalla trazzera, un’accorciatoia che non c’è più, cominciarono a battere le mani. Un nulla facente del paese, da un grosso imbuto, a voce altissima urlò: “ Evviva lu zzì Cicciu cu la Stagnolaaaaaaaaa”. A sentire quel nome il poveraccio capì che aveva messo sul suo asino la più famosa Pu… pubblica, benefattrice del Vallone. Donna che tanti favori aveva fatto a Mussomeli, nei paesi limitrofi e oltre. Come è andata a finire? Io lo so. Provate ad indovinare. I fatti sono veri (ad eccezione dei nomi) se non ci credete… affari vostri sono…ah. ....................................
Gli organi di Stato definivano bandito Giuliano, ma la maggior parte dei siciliani onesti lo favoriva perchè la pensava diversamente…per alcuni era un vero esempio di coraggio e ribellione. Ricordare ora quel che allora si percepiva e vedeva con gli occhi di un bambino serve a capire l’ambiente culturale di allora, le abitudini, le situazioni socio economiche, culturali e ambientali di un popolo in guerra (si veda il libro sulla Banca di li parrini intitolato I cento anni della Banca di Credito Cooperativo San Giuseppe di Mussomeli di Enzo Giardina). Costretto a sopravvivere senza mezzi adeguati in condizioni di fame, cruda, reale…e costante…non era un film. Le ingiustizie e i soprusi e altro causavano disastrose conseguenze di intolleranza.
Questa era l’Italia del contrabbando e dell’ammasso. Il contrabbando faceva gli spregiudicati ricchi di soldi ma senza valori umani. Gli organi di controllo dello Stato preposti al cosiddetto dazio, in ogni dove, lasciavano passare autotreni di grano senza fare una multa e inveivano su i poveri contadini che si arrangiavano per tirare avanti. Come successe allo sfortunato Giuliano che per qualche sacco di grano da vendere a Palermo per barattarlo con altra merce glielo sequestrarono. Da questi ed altri motivi nacque la ribellione ed il diffuso banditismo.
La cultura della ribellione, sociale, regnava nelle menti di noi ragazzi…nonostante a scuola e in famiglia ci insegnavano come diventare cittadini modello. In noi ragazzi c’era la convinzione che la Giustizia non era affatto Giusta…e che alcuni organi dello Stato, e degli Enti pubblici, erano degli ipocriti truffatori e che Giuliano non era un bandito ma un mito. Nun si fa pusari na musca ncapu u nasu: non si fa posare una mosca sul naso (non si fa prendere in giro).
Perciò giocando si cercava di imitarlo. Come ora fanno i ragazzi con Superman e altri idoli. Io fui affascinato da Giuliano e organizzai una banda di circa una trentina di ragazzetti con i quali, tanto per cambiare, giravamo per il paese armati di fionde (filecci), archi e frecce appuntite fatte con i raggi degli ombrelli fuori uso. Armi pericolosissime perchè capaci di infilzarsi nel corpo umano e quindi anche negli occhi. La mascalzonata più eclatante che mi viene in mente è la seguente! Tornando da un’escursione al Castello, nei primi giorni di Maggio, ci capitò di passare vicino ad un campo seminato a fave. Assaggiammo le prime tenerissime fave verdi, ci piacquero molto…per questo, come cavallette, in un batter d’occhio mangiando e calpestando devastammo il campo. Neanche Attila avrebbe fatto peggio. L’avventura durò poco: le mazzate (li pira si chiamavano allora) dei nostri genitori e le nostre coscienze ci hanno fatto cambiare idea e avviarci sulla buona strada. Gli episodi narrati sono veri: ma si nun ci criditi affari vostri sunnu…ah! Per saperne di più su Caluzzieddu Di Giuseppe da Mussomeli vi invitiamo a consultare la scheda in Bibliografia Mussomelese
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LULLUZZU
cioè
Calogero Consiglio
Llulluzzu e la banda musicale di Mussomeli ai tempi del Maestro Alfredo
Motolese e Gaspare Mingoia Anni 1940-1950 Prima di
inventare i telefonini, quando per cellulare si intendeva l’automezzo blindato
per trasportare i carcerati durante i loro trasferimenti, se si sentiva parlare
da solo qualcuno per strada, gesticolando, si considerava matto. Oppure stava
per diventarlo. Ora, invece… sentir parlare per strada è normale… perchè
chiunque parla con i propri interlocutori col viva voce. Il dialogo
avviene normalmente con gli altri a qualsiasi distanza. Anche se
l’interlocutore si trova in un altro continente o a pochi metri, poco importa.
La voce è sempre accompagnata da gesti come se il colloquio fosse fra persone
presenti. Al contrario alcuni, muti come pesci, ora si ascoltano la musica con
le cuffie, seduti a branco, senza degnarsi di uno sguardo, facendo intuire con
i gesti il tipo di musica che stanno ascoltando. Dire che cos’è la normalità
non è cosa facile… comunque io ho fatto, faccio e farò, il tifo per chi si fa i
fatti suoi senza disturbare gli altri… per questo ho sempre rispettato Lulluzzu
(Llulluzzu), ovvero Calogero Consiglio, bidello del corpo bandistico
di Mussomeli. Il nostro beniamino fischiava benissimo, spesso si esibiva con
melodie di brani d’opera lirica oppure con delle marce sinfoniche. Quelle
bellissime marce che si ascoltavano fermi in piazza con tanta passione ! Non
tutti sanno che la banna musicale di Mussumeli (banda
musicale di Mussomeli) diretta dal Maestro Alfredo Motolese è stata
premiata in vari concorsi bandistici e in diverse altre
occasioni (come per esempio a Caltanissetta per le marce funebri
durante le cerimonie religiose della Settimana Santa). Il corpo bandistico
di Motolese aveva nel proprio repertorio le più difficili
opere ed anche il bellissimo canzoniere napoletano. Ogni volta
che si esibiva sul palco faceva un’ottima figura. Allora la banna di
Motolese era una delle migliori dell’isola ! Lulluzzu, acchianannu e
scinniannu faciva li surbizza a lu capu banna Gaspare Mingoia ca
iera anche lannaru (traduzione: salendo e scendendo, fischiando fischiando
sbrigava le commissioni affidategli dal capo del corpo musicale, che era anche
idraulico latoniere) (Lulluzzu infatti lavorava anche per il capobanda
Mingoia). La cuappila ‘ntesta e corchi cosa ‘nmani si guadagnava la spisa. Mentre
certi lazzaroni, invece di cercare lavoro, perdevano tempo girovagando tra le
piazze del paese. E qualche volta cercavano di sfottere Lulluzzu che li zittiva con disprezzo:
nun mi rumpiti a mincia…iìti a travagliari, ovvero: non rompetemi il ….,
andate a lavorare. La semplicità di un’anima e le varie melodie dei più grandi musicisti mondiali,
apprese dalla banda Motolese, facevano sentire felice il nostro
Lulluzzu, per quanto è possibile esserlo su questa terra. Nota
dell’autore Ho conosciuto Lulluzzu nei primi anni 50 del secolo scorso. Io ero
dodicenne primo corno della banna del Maestro Motolese…e il nostro amato
Lulluzzu era tuttofare del corpo musicale di Mussomeli. Era attento e
premuroso verso tutti noi musicanti. Il capo del Corpo Musicale era Gaspare
Mingoia, un eccellente primo clarinetto che suonava senza libretto, cioè:
sempre a memoria. L’unico tra noi. Gaspare Mingoia abitava in Via Caracciolo ed
era idraulico-latoniere, ma per tutti era u capu banna lannaru. Lulluzzu, quando faceva le commissioni per Gaspare
Mingoia, fischiava sempri li motivi di li marci di la banna. La sua caratteristica, dopo la cuappila, era il fischio, assieme a nun
ci rumpiri la mincia. Lo ricordo con commozione e affetto… e qualche lacrima !
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UMANE STORIE DI EMIGRANTI
Caluzzu (Calogero) non aveva mai visto una stazione ferroviaria così grande. Quella del paese vicino al suo (Acquaviva Platani – Casteltermini) era una stazioncina con appena un paio di locali tutto fare e una piccola biglietteria. La ricorda in qualche poesia Salvatore Quasimodo perchè vi passò parte della sua infanzia in quanto suo padre era ferroviere. I binari davanti alla stazione erano due. Uno di essi collegava le stazioni limitrofe, l’altro per far sostare qualche vettura o dare la precedenza in quanto tutta la linea Agrigento-Palermo aveva un solo binario. Tutto qui. Si stupì moltissimo vedendo le tre grandi arcate di ferro della Stazione Centrale di Milano. Rimase sbigottito ancora di più quando il fratello, che lo accolse alla stazione, gli disse che in città ve ne erano altre grandi, quasi, come questa. Appena scesero dal tram, dopo aver fatto un bel tratto di strada a piedi, giunsero a Quarto Oggiaro nelle Case Popolari di via Pascarella 20, ove abitava suo fratello con la propria famiglia. In quel “due locali” erano stretti, sì, ma contenti e fiduciosi verso il futuro. A quei tempi il lavoro c’era per chi aveva voglia di lavorare. Le lusinghe della città erano tante e bisognava stare attenti a non “scivolare verso il baratro dell’illegalità”. Vi ricordate il famosissimo film di Visconti Rocco e i suoi fratelli? Quando Caluzzu si rese conto che abitava in periferia e che il Centro era tutto un’altra cosa cominciò a pensare… alla fine decise che per lui l’importante era lavorare onestamente, per guadagnare tanto quanto bastava per farsi una famiglia. Anche se non era facile. D’animo gentile e affabile con tutti, Caluzzu, si stupì non poco quando cercando casa in affitto gliela negavano perchè meridionale… terùn. Ma che vuol dire? Si chiedeva… che ho fatto di male, io? Perchè tutta questa cattiveria. Per lui era inconcepibile tale comportamento. Si fece coraggio e cercò, cercò e cercò fin quanto la trovò e i suoi sogni cominciarono ad avverarsi. Ora stare in periferia per Caluzzu era come vivere al suo paese, aveva degli amici e gli piaceva molto avere contatti con delle persone. Si rese conto che i milanesi avevano un cuore come il suo… e che la gente era tanto cattiva o tanto buona esattamente come al suo paese in quella tanto martoriata Sicilia. Terra di varie conquiste nei secoli passati. Ogni periferia può diventare Centro… come il Centro, se non c’è comunicazione fra gli esseri umani, può essere peggio della periferia. Nel tempo libero studiò molto e cominciò a frequentare vari centri culturali… specialmente quelli artistici. Anche se si riteneva “ignorante” penso bene di fondare un Centro Socio-Culturale con propositi di migliorare lo stato esistenziale del quartiere. Essendo “allergico ai bar” Caluzzu… vi entrava raramente per offrire qualche cosa agli amici o accettarla da loro: diceva sempre che “l’ozio dei bar rende le persone irritabili perchè parlano di cose inutili, perciò litigiose. Ad affermare la sua convinzione erano le cronache cittadine…sui giornali o in TV. La maggior parte degli atti delinquenziali avvenivano (o erano concepiti) nei bar o nei ritrovi notturni o in altre cose del genere. Mantenendo la sua integrità morale migliorò la sua cultura, divenne segretario politico, consigliere comunale, pubblicista e poeta-scrittore. Ancora adesso ama la periferia, abita felicemente con la famiglia in una cittadina adiacente a Milano da circa quaranta anni. Una storia come le tante, simili in tutto il mondo, che ci permettono di riflettere ed essere più comprensivi verso il prossimo.
Calogero Di Giuseppe.
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NINUZZU L'AGNIADDU DI CALUZZU
(Ninuccio l'agnello di Calogeruccio.)
Fatto vero.
L'ex pastificio- mulino (allora il secondo della Sicilia) Mussomeli (CL)
Per capire di che cosa stiamo parlando è bene precisare come si viveva, nella nostra Mussomeli , a cavallo della seconda guerra mondiale. L’economia della città era di tipo agricolo, senza alcuna industria, a parte la fabbrica di li gazzusi e qualche altra inezia del genere. Faceva eccezione in contrada Annivina il magnifico Pastificio detto della Madonna dei Miracoli, con annesso mulino per macinare il grano. Il pastificio era uno dei migliori della Sicilia: faceva pasta delle migliori qualità tra cui quella extra, che poche famiglie potevano permettersi. La maggior parte di essa la esportavano all’estero. Per il resto della popolazione c’era la pasta sfusa che le bottegaie (i putiara) tenevano in cassettoni senza coperchio, o la pasta pizziata, scarti di quella lunga frantumatasi durante la lavorazione, perciò a prezzo più basso. Per chi aveva la farina, la migliore alternativa era la pasta fatta in casa. Per i tanti che non l’avevano, non vi era altra possibile alternativa. La domanda è : chi aveva la farina ? I contadini che coltivavano il frumento ovviamente! Non di rado anche chi aveva i soldi non poteva trovare né pasta né farina. I contadini proprietari, durante e dopo la guerra, erano tra i pochi che stavano discretamente bene in quanto potevano contrabbandare di tutto. Il resto della popolazione si arrangiava come poteva. Molti in casa tenevano degli animali domestici: maiali, conigli, galline, (l’uavu ci vuliva sempri) porcellini d’India ecc. che assicuravano l’apporto proteico.
E l’igiene ? Nel periodo che va dal 1940 sino ai primi anni 50, l’unico pensiero di tanti era quello di mittiri corchi cosa miazzu a li dianti (mettere qualche cosa tra i denti). Punto e basta. Per sopravvivere si faceva di tutto. Per esempio: c’erano dei forestieri che giravano il paese, con un mulo (o asino), con delle ceste ai fianchi carichi di pollame. Queste persone venute da altri paesi dicevano di comprare e vendere…ma in realtà, approfittando del pollame che starnazzava nelle nasse (stie) appoggiate ai muri delle case (o che era in giro per le strade), lo rubavano in un quartiere e lo rivendevano in un altro. In qualche caso c’era qualche comare che dava l’allarme: U gaddinaru passa…u gaddinaruuuu… trasiti l’armari (passa il pollaiolo ritirate gli animali). Quanto sopra è il preambolo per farvi capire meglio quello che sto per raccontarvi.
Un giorno mio padre si presentò a casa con un bellissimo agnellino tutto bianco, di un paio di mesi, che io subito, senza il permesso dell’arciprete Migliore, lo battezzai Ninuzzu (Ninuccio).
Era la mia ombra: eravamo sempre insieme. Tornando da scuola, non vedevo l’ora di vederlo per giocare con lui. Lo portavo nelle campagne vicine a pascolare. Oppure nella mia campagna in contrada Germano, luogo bellissimo e salutare, dove ancora oggi mi godo le vacanze estive.
Quando eravamo a Germano capitava che si addentrava nella giglia (montagnetta) e non vedendolo lo chiamavo per nome oppure con l’inizio della colonna sonora del film Capitano Nero, emettendo dei suoni con la gola. Subito spuntava dalle rocce e correva a strofinarsi tra le mie gambe. Si sa che questi animali crescono più in fretta dei ragazzi, e l’istinto li attrae sempre verso i propri simili. Un giorno passò, dalla vicina strada, un gregge di un centinaio di pecore. Ninuzzu sentendo belare non resistette più al richiamo dei parenti e si mise a correre verso il gregge. Il pastore, sentendomi chiamare, lo allontanò minacciandolo col bastone, e Ninuzzu non sapeva più cosa fare … io lo chiamavo, ma non veniva. Arrabbiato, presi una pietra e gliela scagliai. Sfortunatamente lo colpii proprio sulla nuca. Poveraccio… girò su se stesso e si accasciò per terra. Mi misi ad urlare aiuto piangendo. Urlavo aiuto…aiuto… Un contadino che da lontano aveva assistito alla scena, mi gridò: scimunitu iettaci un quatu d’acqua ‘ntesta ca annivisci (scemo buttagli un secchio d’acqua sulla testa che rinviene). Così feci. L’agnellino si alzò e invece di scappare lontano dal suo assassino vi si mise tra le gambe accarezzandolo con la sua soffice lana. Mi sentii più meschino dei meschini: Caino. Stavo per uccidere un mio fratello! Mi inginocchiai e lo abbracciai forte forte, piangendo e ridendo contemporaneamente per la felicità. Ma la felicità non è di questo mondo. Qualche mese dopo, tornando da scuola (quarta elementare) non trovai più Ninuzzu. Mia madre, con molto affetto, mi fece capire che l’agnello, pur non essendo Pasqua, era stato sacrificato: purtroppo aviamu bisuagnu di sordi… a mamà. Questa notizia è stata la prima croce che mi ha iniziato alla dura realtà della vita. Ancora oggi ne porto il ricordo. Quando mio papà la sera tornò dal lavoro mi diede la pelle, pulita e pettinata, e mi disse: cu chista fa nu scinni liattu, quannu ci mitti li piadi di ‘ncapu penza a Ninuzzu… ma fici mittiri apposta da parti du maciddaru ( questa è la pelle di Ninuccio…usala per scendiletto, così te lo ricordi ogni volta che vi metti i piedi sopra …. me la son fatta preparare apposta dal macellaio). Mio padre era di poche parole, ma sapeva quel che faceva…al momento opportuno. Questo è un racconto di un fatto realmente accaduto…ma se non volete crederci, affari vostri sono ah…u capistivu ?
Per saperne di più su Caluzzieddu Di Giuseppe da Mussomeli vi invitiamo a consultare la scheda in Bibliografia Mussomelese oppure "LADISCUSIONE" ww.tuttokalosghero.blogspot.com
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IL RACCONTO DI BEPPE
CALZETTA
-Poverino…non gliene è andata mai bene
una…persino da morto è sfortunato. – Hai ragione, se
oggi fosse stata meno afosa la giornata ci sarebbe più gente e il corteo
sarebbe riuscito meglio. La gente preferisce stare in casa, al fresco, anche se
gli volevano bene non vogliono sudare accompagnandolo al cimitero. Hai sentito la predica? - Si che l’ho sentita…e sotto sotto ridevo. Ti confesso che
anche io ridevo…del resto era così naturale ridere mentre predicava il prete…povero
caro Beppe, proprio per il suo funerale doveva capitare il prete balbuziente.
- Balbuziente lui, il
postino, balbuziente la predica per il suo elogio funebre…Parla
piano ci sentono… Stai tranquilla, quelle
dietro a noi parlano di moda e qui davanti a noi parlano del derby Inter Milan. Dicevi? Affermavo che quella predica sarebbe stata ottima,
come contenuto…ma detta così con le parole sincopate…
mi sembrava una canzone di Natalino Otto. Il discorso
del prete in chiesa te lo ricordi? E come no; ascolta:
“Fraaaaa fraaa fraaatelli, oooggi è uuun
trii triiste giorno peer noi; è mancato iiil caro pooostino Beppe
Caalzetta e ci e ci (salute) e ci lascia assieme ai ai suoi figli…Così ciarlando le due pettegole, Maria e Brunetta,
soprannominate le comari del paese seguivano il feretro che aveva lasciato la
chiesa e si avviava verso il cimitero lungo il viale, ancora bianco, che lo
collegava al paese. Dalla periferia al cimitero il vialone era
fiancheggiato da vecchissimi cipressi e da un piccolo muretto dove, al ritorno,
i becchini sostavano a riposare, quando le bare (tempo addietro) erano portate
a spalla. Ma ora la tecnica fa miracoli: i morti vanno da soli…
(si fa per dire) senza fatica: vanno in auto. E non è poco per chi da vivo non
è mai andato. I cittadini di Morte Allegra amavano Beppe il balbuziente,
era un postino esemplare e soprattutto simpatico. Le donne andavano pazze
per lui. anche se ti amo glielo diceva arate, a sillabe. Ma, come accade a
tanti, purtroppo, portò una sola donna all’altare: fu sposo perfetto. Le altre
donne dovettero accontentarsi di guardarlo solamente. Nonostante l’afa di luglio
le, sue innamorate hanno fatto la fatica di ordinare le “corone di fiori”
per lui. Vi erano più fiori che gente al funerale. Il gestore delle pompe
funebri ebbe il suo da fare per sistemare i fiori dignitosamente e con alcuni
addobbò i finestrini della corriera del paese destinata a condurre i
partecipanti in paese al ritorno. Il pullman così sembrava sistemato per una
festa invece che per il triste evento. Altri mazzetti di fiori erano portati a mano.
Tante ragazze preferirono rimanere a casa per non svelare il loro amore per il
povero Beppe: il paese è piccolo e la gente mormora… La moglie, poverina,
sembrava una delle tante statue che rappresentano l’addolorata ai piedi della
croce di Gesù: vestita di nero, la camicetta di pizzo bianca sotto la
giacchetta ed il viso coperto dal velo faceva davvero pietà. Nella fretta si
era vestita male: la sottoveste verde con la frangia rosa facevano capolino da
sotto la gonna mettendo in risalto la ridicola varietà dei colori. Nessuno
osava aggiustargliela: “Non stava bene in quell’occasione”. Ma intanto qualcuno
rideva coprendosi la bocca con le mani o nascondendosi col velo… e qualche
risatina era scambiata per pianto. La salma era situata in una vecchia
automobile, una balilla appena verniciata e ornata
d’angioletti e d’arabeschi. Sopra il tetto ad urna, un bell’angelo teneva una
croce e un nastro in cui stava scritto: REQUIESCAT IN PACE. Il che non era
facile con questo movimentato funerale poi in sosta come vedremo. Quattro
impiegati delle pompe funebri stavano ai lati della “carrozza” mortuaria
proprio con la faccia da funerale a pagamento. I chierichetti
(gratis) erano davanti alle figlie di Maria, mentre alcuni preti ordinavano il
corteo. La banda del paese suonava la solita marcia funebre. Il corteo
procedeva “sempre verso il cimitero”: non si potevano sbagliare…la strada la
sapevano perché a Morte allegra si moriva spesso. All'improvviso,
proprio a metà strada, in mezzo al vialone con i cipressi, si è sentito
"tossire" il motore della balilla mortuaria…sussultare e poi
fermarsi. L'autista scese per individuare il guasto. Aprì il cofano dell'auto e
cominciò ad armeggiare. La processione per i primi dieci minuti fu quasi
composta (si fa per dire), ma poi, per il caldo, i fazzoletti invece di
asciugare le lagrime asciugarono il sudore. I preti si sedettero sul muretto, i
chierici con gli altri bambini si fecero la guerra con le bacche dei cipressi
tirandoseli come proiettili. Le donne recitarono il rosario a modo loro
all'ombra e gli uomini, dopo aver appoggiato i fiori ai margini della strada,
si misero a lodare il povero Beppe Calzetta, buon'anima, pensando a quanto era
stato sfortunato: anche il funerale gli stava
andando male. Dopo vennero altri argomenti da trattare mentre l'autista solo…in
mezzo alla strada col morto, tentava d'avviare il motore. Un gregge di capre
che pascolava nei dintorni si incuriosì e si avvicinò al corteo annusando i fiori
e mangiando le foglie…in breve le corone furono disfatte e la strada fu piena
di "ceci neri" caduti da sotto la coda dei ruminanti. quando se ne
accorsero era troppo tardi. Tra i fiori per terra con le bacche, i bambini che
vociavano, il parroco che gridava state zitti, le capre che belavano qua e là,
il funerale si era tramutato in una festa campestre. Se poi teniamo conto delle
persone sedute all'ombra dei cipressi che mangiavano frutta, rubata nel
frutteto vicino, possiamo tranquillamente dire che sembrava più un picnic di fine
settimana, un vero week end. Il morto e l'autista erano gli unici a
soffrire in mezzo alla strada. L'autista era sudato: per la rabbia pensava
parolacce ma non osava dirle per rispetto a Beppe buon'anima. Era quasi mezzo
giorno quando il motore si avviò facendo sentire il suo rullio. Un lungo
applauso premiò la fatica dell'autista come se fosse un divo in pieno successo
teatrale. Il corteo, finalmente, si avviò verso il funesto traguardo a
passo di bersagliere. La polvere ormai si era posata sui vestiti neri e
bianchi. Le calze delle donne si erano smagliate con l’erba secca dove si
erano sedute e il trucco ormai si era sciolto sui loro visi sudati. I loro
volti stanchi tra i capelli scarmigliati mettevano allegria mentre si
guardavano sorpresi l’una con l’altra. Ma il povero Beppe dovette aspettare una
settimana per essere inumato: una frana aveva coperto la sua fossa ed i
muratori erano in sciopero con i becchini. Peggio di così non si può
morire… Balbuziente lui, il postino, balbuziente la predica per il suo
elogio funebre. Parla piano ci sentono…
Stai tranquilla, quelle dietro a noi parlano di moda e qui davanti a noi
parlano del derby Inter Milan. Dicevi? Affermavo
che quella predica sarebbe stata ottima, come contenuto…ma detta così con le parole
sincopate… mi sembrava una canzone di Natalino Otto. Il discorso
del prete in chiesa te lo ricordi?- E come no; ascolta:
“Fraaaaa fraaa fraaatelli, oooggi è uuun trii triste giorno peer noi; è mancato
iiil caro pooostino Beppe Caalzetta e ci e ci (salute) e ci lascia assieme
ai suoi figli…Tante ragazze preferirono rimanere a casa per non svelare il loro
amore per il povero Beppe: il paese è piccolo e la gente mormora… La
moglie, poverina, sembrava una delle tante statue che rappresentano
l’addolorata ai piedi della croce di Gesù: vestita di nero, la camicetta
di pizzo bianca sotto la giacchetta ed il viso coperto dal velo faceva davvero
pietà. Nella fretta si era vestita male: la sottoveste verde con la frangia
rosa facevano capolino da sotto la gonna mettendo in risalto la ridicola
varietà dei colori. Nessuno osava aggiustargliela: “Non stava bene in
quell’occasione”. Ma intanto qualcuno rideva coprendosi la bocca con le mani o
nascondendosi col velo… e qualche risatina era scambiata per pianto. La salma
era situata in una vecchia automobile, una balilla appena
verniciata e ornata d’angioletti e d’arabeschi. Sopra il tetto
ad urna, un bell’angelo teneva una croce e un nastro in cui stava scritto:
REQUIESCAT IN PACE. Il che non era facile con questo movimentato
funerale poi in sosta come vedremo. Quattro impiegati delle pompe funebri
stavano ai lati della “carrozza” mortuaria proprio con la faccia da funerale a
pagamento. I chierichetti (gratis) erano davanti alle figlie di
Maria, mentre alcuni preti ordinavano il corteo. La banda del paese suonava la
solita marcia funebre. Il corteo procedeva “sempre verso il cimitero”: non si
potevano sbagliare…la strada la sapevano perché a Morteallegra si moriva
spesso. All'improvviso, proprio a metà strada, in mezzo al
vialone con i cipressi, si è sentito "tossire" il motore della
balilla mortuaria…sussultare e poi fermarsi. L'autista scese per individuare il
guasto. Aprì il cofano dell'auto e cominciò ad armeggiare. La processione
per i primi dieci minuti fu quasi composta (si fa per dire), ma poi, per il
caldo, i fazzoletti invece di asciugare le lagrime asciugarono il
sudore. I preti si sedettero sul muretto, i chierici con gli altri bambini si
fecero la guerra con le bacche dei cipressi tirandoseli come proiettili. Le
donne recitarono il rosario a modo loro all'ombra e gli uomini, dopo aver
appoggiato i fiori ai margini della strada, si misero a lodare il povero Beppe
Calzetta, buon'anima, pensando a quanto era stato sfortunato: anche il funerale
gli stava andando male. Dopo vennero altri argomenti da trattare mentre
l'autista solo…in mezzo alla strada col morto, tentava d'avviare il motore. Un
gregge di capre che pascolava nei dintorni si incuriosì e si avvicinò al corteo
annusando i fiori e mangiando le foglie…in breve le corone furono disfatte e la
strada fu piena di "ceci neri" caduti da sotto la coda dei ruminanti.
quando se ne accorsero era troppo tardi. Tra i fiori per terra con le bacche, i
bambini che vociavano, il parroco che gridava state zitti, le capre che
belavano qua e là, il funerale si era tramutato in una festa campestre. Se poi
teniamo conto delle persone sedute all'ombra dei cipressi che mangiavano
frutta, rubata nel frutteto vicino, possiamo tranquillamente dire che sembrava
un pic nic di fine settimana un vero week end. Il morto e l'autista
erano gli unici a soffrire in mezzo alla strada. L'autista era sudato: per la
rabbia pensava parolacce ma non osava dirle per rispetto a Beppe buon'anima.
Era quasi mezzo giorno quando il motore si avviò facendo sentire il suo rullio.
Un lungo applauso premiò la fatica dell'autista come se fosse un divo in pieno
successo teatrale. Il corteo, finalmente, si avviò verso il funesto
traguardo a passo di bersagliere. La polvere ormai si era posata sui vestiti
neri e bianchi. Le calze delle donne si erano smagliate con l’erba secca
dove si erano sedute e il trucco ormai si era sciolto sui loro visi
sudati. I loro volti stanchi tra i capelli scarmigliati mettevano allegria
mentre si guardavano sorpresi l’una con l’altra. Ma il povero Beppe dovette
aspettare una settimana per essere inumato: una frana aveva coperto la sua
fossa ed i muratori erano in sciopero con i becchini. Peggio di così
non si può morire… Così fu scritto sulla sua lapide: Qui giace BEPPE CALZETTA ad
egli così calmo toccò morire in fretta. A gli amici lenì il dolore per lui
neppure un salmo. Nell’ultima via si fermò il motore pregate per lui nostro Signore.
Qui giace CALZETTA BEPPE neanche morire in pace purtroppo egli seppe. Qui tace
BEPPE CALZETTA ad egli così calmo toccò morire in fretta. Novembre 1979
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Quarto
premio al Concorso seconda edizione premio Meliusum. Montagnareale
1998.
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Quando eravamo a Germano capitava che si addentrava nella giglia (montagnetta) e non vedendolo lo chiamavo per nome oppure con l’inizio della colonna sonora del film Capitano Nero, emettendo dei suoni con la gola. Subito spuntava dalle rocce e correva a strofinarsi tra le mie gambe. Si sa che questi animali crescono più in fretta dei ragazzi, e l’istinto li attrae sempre verso i propri simili. Un giorno passò, dalla vicina strada, un gregge di un centinaio di pecore. Ninuzzu sentendo belare non resistette più al richiamo dei parenti e si mise a correre verso il gregge. Il pastore, sentendomi chiamare, lo allontanò minacciandolo col bastone, e Ninuzzu non sapeva più cosa fare … io lo chiamavo, ma non veniva. Arrabbiato, presi una pietra e gliela scagliai. Sfortunatamente lo colpii proprio sulla nuca. Poveraccio… girò su se stesso e si accasciò per terra. Mi misi ad urlare aiuto piangendo. Urlavo aiuto…aiuto… Un contadino che da lontano aveva assistito alla scena, mi gridò: scimunitu iettaci un quatu d’acqua ‘ntesta ca annivisci (scemo buttagli un secchio d’acqua sulla testa che rinviene). Così feci. L’agnellino si alzò e invece di scappare lontano dal suo assassino vi si mise tra le gambe accarezzandolo con la sua soffice lana. Mi sentii più meschino dei meschini: Caino. Stavo per uccidere un mio fratello! Mi inginocchiai e lo abbracciai forte forte, piangendo e ridendo contemporaneamente per la felicità. Ma la felicità non è di questo mondo. Qualche mese dopo, tornando da scuola (quarta elementare) non trovai più Ninuzzu. Mia madre, con molto affetto, mi fece capire che l’agnello, pur non essendo Pasqua, era stato sacrificato: purtroppo aviamu bisuagnu di sordi… a mamà. Questa notizia è stata la prima croce che mi ha iniziato alla dura realtà della vita. Ancora oggi ne porto il ricordo. Quando mio papà la sera tornò dal lavoro mi diede la pelle, pulita e pettinata, e mi disse: cu chista fa nu scinni liattu, quannu ci mitti li piadi di ‘ncapu penza a Ninuzzu… ma fici mittiri apposta da parti du maciddaru ( questa è la pelle di Ninuccio…usala per scendiletto, così te lo ricordi ogni volta che vi metti i piedi sopra …. me la son fatta preparare apposta dal macellaio). Mio padre era di poche parole, ma sapeva quel che faceva…al momento opportuno. Questo è un racconto di un fatto realmente accaduto…ma se non volete crederci, affari vostri sono ah…u capistivu ? Per saperne di più su Caluzzieddu Di Giuseppe da Mussomeli vi invitiamo a consultare la scheda in Bibliografia Mussomelese oppure "LADISCUSIONE" ww.tuttokalosghero.blogspot.com
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Stai tranquilla, quelle dietro a noi parlano di moda e qui davanti a noi parlano del derby Inter Milan. Dicevi? Affermavo che quella predica sarebbe stata ottima, come contenuto…ma detta così con le parole sincopate… mi sembrava una canzone di Natalino Otto. Il discorso del prete in chiesa te lo ricordi?- E come no; ascolta: “Fraaaaa fraaa fraaatelli, oooggi è uuun trii triste giorno peer noi; è mancato iiil caro pooostino Beppe Caalzetta e ci e ci (salute) e ci lascia assieme ai suoi figli…Tante ragazze preferirono rimanere a casa per non svelare il loro amore per il povero Beppe: il paese è piccolo e la gente mormora… La moglie, poverina, sembrava una delle tante statue che rappresentano l’addolorata ai piedi della croce di Gesù: vestita di nero, la camicetta di pizzo bianca sotto la giacchetta ed il viso coperto dal velo faceva davvero pietà. Nella fretta si era vestita male: la sottoveste verde con la frangia rosa facevano capolino da sotto la gonna mettendo in risalto la ridicola varietà dei colori. Nessuno osava aggiustargliela: “Non stava bene in quell’occasione”. Ma intanto qualcuno rideva coprendosi la bocca con le mani o nascondendosi col velo… e qualche risatina era scambiata per pianto. La salma era situata in una vecchia automobile, una balilla appena verniciata e ornata d’angioletti e d’arabeschi. Sopra il tetto ad urna, un bell’angelo teneva una croce e un nastro in cui stava scritto: REQUIESCAT IN PACE. Il che non era facile con questo movimentato funerale poi in sosta come vedremo. Quattro impiegati delle pompe funebri stavano ai lati della “carrozza” mortuaria proprio con la faccia da funerale a pagamento. I chierichetti (gratis) erano davanti alle figlie di Maria, mentre alcuni preti ordinavano il corteo. La banda del paese suonava la solita marcia funebre. Il corteo procedeva “sempre verso il cimitero”: non si potevano sbagliare…la strada la sapevano perché a Morteallegra si moriva spesso. All'improvviso, proprio a metà strada, in mezzo al vialone con i cipressi, si è sentito "tossire" il motore della balilla mortuaria…sussultare e poi fermarsi. L'autista scese per individuare il guasto. Aprì il cofano dell'auto e cominciò ad armeggiare. La processione per i primi dieci minuti fu quasi composta (si fa per dire), ma poi, per il caldo, i fazzoletti invece di asciugare le lagrime asciugarono il sudore. I preti si sedettero sul muretto, i chierici con gli altri bambini si fecero la guerra con le bacche dei cipressi tirandoseli come proiettili. Le donne recitarono il rosario a modo loro all'ombra e gli uomini, dopo aver appoggiato i fiori ai margini della strada, si misero a lodare il povero Beppe Calzetta, buon'anima, pensando a quanto era stato sfortunato: anche il funerale gli stava andando male. Dopo vennero altri argomenti da trattare mentre l'autista solo…in mezzo alla strada col morto, tentava d'avviare il motore. Un gregge di capre che pascolava nei dintorni si incuriosì e si avvicinò al corteo annusando i fiori e mangiando le foglie…in breve le corone furono disfatte e la strada fu piena di "ceci neri" caduti da sotto la coda dei ruminanti. quando se ne accorsero era troppo tardi. Tra i fiori per terra con le bacche, i bambini che vociavano, il parroco che gridava state zitti, le capre che belavano qua e là, il funerale si era tramutato in una festa campestre. Se poi teniamo conto delle persone sedute all'ombra dei cipressi che mangiavano frutta, rubata nel frutteto vicino, possiamo tranquillamente dire che sembrava un pic nic di fine settimana un vero week end. Il morto e l'autista erano gli unici a soffrire in mezzo alla strada. L'autista era sudato: per la rabbia pensava parolacce ma non osava dirle per rispetto a Beppe buon'anima. Era quasi mezzo giorno quando il motore si avviò facendo sentire il suo rullio. Un lungo applauso premiò la fatica dell'autista come se fosse un divo in pieno successo teatrale. Il corteo, finalmente, si avviò verso il funesto traguardo a passo di bersagliere. La polvere ormai si era posata sui vestiti neri e bianchi. Le calze delle donne si erano smagliate con l’erba secca dove si erano sedute e il trucco ormai si era sciolto sui loro visi sudati. I loro volti stanchi tra i capelli scarmigliati mettevano allegria mentre si guardavano sorpresi l’una con l’altra. Ma il povero Beppe dovette aspettare una settimana per essere inumato: una frana aveva coperto la sua fossa ed i muratori erano in sciopero con i becchini. Peggio di così non si può morire… Così fu scritto sulla sua lapide: Qui giace BEPPE CALZETTA ad egli così calmo toccò morire in fretta. A gli amici lenì il dolore per lui neppure un salmo. Nell’ultima via si fermò il motore pregate per lui nostro Signore. Qui giace CALZETTA BEPPE neanche morire in pace purtroppo egli seppe. Qui tace BEPPE CALZETTA ad egli così calmo toccò morire in fretta. Novembre 1979
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Quarto premio al Concorso seconda edizione premio Meliusum. Montagnareale 1998.
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